Le minacce verbali rappresentano un fenomeno complesso, che può oscillare da semplici offese fino a vere e proprie fattispecie di reato.
Nell’attuale quadro normativo italiano, definito principalmente dall’articolo 612 del Codice Penale, è fondamentale comprendere quando un’espressione intimidatoria si traduce in un illecito penale, quali sono le modalità aggravanti e quali conseguenze possono derivare da una denuncia.
L’elemento fondamentale che distingue una semplice espressione verbale da una minaccia penalmente rilevante è la prospettazione di un “danno ingiusto”, cioè un male contrario alla legge o alla morale, che la persona minacciosa dichiara di voler infliggere alla vittima. La minaccia deve essere tale da risultare idonea a intimidire una persona di normale sensibilità, influenzandone la libertà morale e psicologica. Non è necessario che la vittima provi effettivamente timore, ma che la minaccia abbia la capacità oggettiva di generarlo, come più volte ribadito dalla giurisprudenza (Cassazione Penale, Sez. 5, n. 25265/2022).
Ad esempio, una frase offensiva come “Lei è incompetente!” resta una semplice offesa, mentre minacciare “Le taglio le gomme della macchina” configura un danno ingiusto e configura il reato di minaccia semplice, perseguibile a querela della persona offesa.
Le minacce gravi e le circostanze aggravanti
L’articolo 612, comma 2, del Codice Penale prevede un aumento di pena e la procedibilità d’ufficio quando la minaccia assume una connotazione più grave. Tra le modalità aggravanti figurano l’uso di armi (anche improprie, come bastoni o catene), la minaccia da parte di più persone riunite, la provenienza da persona travisata, oppure tramite scritti anonimi o modalità simboliche (ad esempio, lasciare oggetti intimidatori davanti all’abitazione della vittima).
La gravità si valuta anche in relazione all’impatto psicologico della minaccia, che deve risultare particolarmente intenso da turbare profondamente la vittima. La Corte di Cassazione ha confermato che minacciare con un bastone o inviare messaggi del tipo “Finirai come quelle che si vedono al telegiornale” sono esempi tipici di minacce gravi (Cass. Pen., Sez. 5, n. 34412/2023).

Minacce ripetute: il passaggio dallo stalking(www.linkedincaffe.it)
Quando le minacce non sono isolate ma reiterate nel tempo, si configura il reato di atti persecutori, comunemente noto come stalking, disciplinato dall’articolo 612-bis del Codice Penale, introdotto nel 2009. Perché si possa parlare di stalking, è necessario che le condotte persecutorie siano ripetute e producano uno degli effetti seguenti sulla vittima: un grave e perdurante stato di ansia o paura, un fondato timore per l’incolumità propria o di un familiare, oppure la costrizione a modificare le proprie abitudini di vita (come cambiare numero di telefono o evitare determinati luoghi).
Le minacce tramite chat, messaggi o social network hanno lo stesso peso di quelle pronunciate a voce. Anzi, tali modalità sono considerate particolarmente insidiose e pervasivi, perché possono raggiungere la vittima in ogni momento e luogo, abbattendo le barriere spaziali e temporali. La giurisprudenza ha riconosciuto che l’“attitudine intrusiva” di una condotta digitale può amplificare l’effetto intimidatorio, spesso più persistente e traumatico di una minaccia verbale detta una sola volta (Cass. Pen., Sez. 1, n. 34171/2023).
Il quadro normativo e le sanzioni previste
L’articolo 612 del Codice Penale punisce chiunque minacci ad altri un danno ingiusto con una sanzione che può andare dalla multa fino a 1.032 euro, fino alla reclusione fino a un anno, in caso di minacce gravi o commesse con modalità aggravanti previste dall’articolo 339 del Codice Penale (ad esempio, durante manifestazioni pubbliche, con armi o da persone travisate). In queste ultime ipotesi, la procedibilità è d’ufficio, cioè il procedimento penale può essere avviato anche senza querela della persona offesa.
Per le minacce semplici, invece, il procedimento si avvia solo a seguito di querela entro tre mesi dalla conoscenza del fatto. In caso di mancanza della querela, il procedimento penale non prosegue.
Le minacce di morte, considerate una forma grave di minaccia, prevedono la reclusione fino a un anno e, con la riforma Cartabia, possono essere perseguite d’ufficio in presenza di circostanze aggravanti diverse dalla recidiva, sempre valutando il contesto e l’effettivo turbamento psicologico provocato.

Quando una minaccia verbale diventa un reato?(www.linkedincaffe.it) 









