Diritti

Ti hanno prestato un oggetto? Che succede se non lo restituisci: quando diventa reato

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Un libro, un’auto, un bene mobile ricevuto in prestito può trasformarsi in reato se chi lo detiene si comporta come proprietario: ecco quando scatta l’appropriazione indebita.

Ricevere in prestito un oggetto – che sia un’auto, un computer o un semplice libro – è una pratica quotidiana. Amici, parenti, colleghi o anche soggetti con cui si ha un accordo formale possono concedere il possesso temporaneo di un bene, con l’intesa che venga restituito entro un certo termine. Ma cosa accade se questo termine viene superato e il bene non torna nelle mani del proprietario? Molti pensano che basti il ritardo per far scattare una denuncia, ma la legge distingue chiaramente tra inadempimento civile e reato penale. La differenza sta tutta nel comportamento del detentore: se si limita a non restituire, è un fatto civile; se inizia a trattare l’oggetto come fosse suo, allora si entra nel campo dell’appropriazione indebita, punita dall’articolo 646 del codice penale.

Cosa prevede il reato di appropriazione indebita secondo l’articolo 646

Il codice penale italiano, all’articolo 646, punisce con la reclusione fino a cinque anni e una multa fino a 3.000 euro chiunque, avendo legittimamente il possesso di una cosa mobile altrui, se ne appropria per ottenere un ingiusto profitto. Il punto chiave è proprio il possesso iniziale: mentre nel furto si ha una sottrazione, nell’appropriazione indebita il bene viene ricevuto in modo lecito, spesso per fiducia o accordo tra le parti. Solo dopo, con un comportamento opposto agli accordi iniziali, quella persona decide di comportarsi come se il bene fosse suo, violando così il rapporto fiduciario con il proprietario.

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Cosa prevede il reato di appropriazione indebita secondo l’articolo 646 – linkedincaffe.it

La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 46 del 27 marzo 2024 ha aggiornato le pene, eliminando il minimo edittale. Questo reato è stato oggetto di attenzione proprio per la sua natura ambigua, che spesso costringe giudici e avvocati a distinguere con attenzione tra illeciti civili e condotte penalmente rilevanti. La giurisprudenza ha chiarito che il reato si perfeziona nel momento in cui chi detiene il bene compie un primo atto concreto che manifesta la volontà di tenerlo come proprio, come venderlo, regalarlo o addirittura negarne l’esistenza.

A livello pratico, quindi, non basta non restituire un bene per essere condannati. Ma se, ad esempio, dopo una richiesta formale di restituzione, chi ha il possesso si rifiuta apertamente, nasconde l’oggetto, lo usa per trarne vantaggio o lo aliena in altro modo, la sua condotta diventa penalmente rilevante. È proprio questo comportamento – chiamato in gergo interversio possessionis – che rappresenta il salto dall’ambito civile a quello penale.

Quando il ritardo si trasforma in reato e cosa deve essere provato in tribunale

Il mero ritardo nella restituzione non configura automaticamente un crimine. Si tratta in quel caso di una violazione degli accordi tra le parti, risolvibile in sede civile con azioni legali per la restituzione e il risarcimento. A essere rilevante dal punto di vista penale è il cambiamento dell’intenzione del detentore: quando questi inizia a trattare l’oggetto come se ne fosse il proprietario esclusivo, negando i diritti del legittimo titolare. È proprio in quel momento che può configurarsi il reato di appropriazione indebita.

La Cassazione ha stabilito in più occasioni che la prova del reato sta nella manifestazione esteriore e concreta della volontà di appropriazione. Basta, ad esempio, una lettera raccomandata ignorata seguita da un rifiuto esplicito, oppure il tentativo di vendere l’oggetto prestato. Tra i casi più frequenti ci sono:

  • la vendita o donazione del bene ricevuto in prestito;

  • la negazione di aver mai ricevuto l’oggetto, nonostante prove contrarie;

  • l’uso del bene per trarne profitto personale, come darlo in pegno o usarlo per un’attività economica.

Perché il giudice possa emettere condanna, devono risultare tutti gli elementi del reato. Innanzitutto, l’oggetto deve essere di proprietà esclusiva altrui: non possono esserci margini di ambiguità. La giurisprudenza ha escluso il reato in casi dove, per esempio, una persona in affitto aveva acquistato mobili per la casa e alla fine del contratto si era rifiutata di restituirli al proprietario dell’immobile. I mobili erano suoi, quindi non si configurava appropriazione.

Il secondo elemento essenziale è il dolo specifico: chi si appropria deve farlo consapevolmente e per ottenere un profitto. Questo vantaggio non deve essere solo economico: può essere anche il semplice godimento dell’uso del bene, come nel caso di un’auto mai riconsegnata, usata per spostamenti privati senza alcun titolo.

Infine, è importante distinguere tra illecito civile e penale. Il primo resta tale finché non si supera la soglia dell’atto di dominio. È il comportamento che nega i diritti altrui, manifestando la volontà di non restituire più, che trasforma la vicenda in una questione penale. Anche nel caso del denaro, se non esiste un vincolo preciso (ad esempio “tieni questi soldi per pagarci l’affitto”), la mancata restituzione è solo inadempimento, non reato.

Il principio, valido anche per gli oggetti, è chiaro: il prestito crea un vincolo. Ma se chi ha ricevuto il bene lo nasconde, nega o sfrutta, tradendo l’accordo iniziale, allora si espone al rischio di una condanna penale.

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