La recente sentenza della Cassazione chiarisce obblighi e responsabilità di amministratori e condomini in caso di rinuncia alla proprietà, con impatti su debiti e danni.
Nel contesto della gestione condominiale, una questione di particolare attualità riguarda i rischi e le implicazioni derivanti dall’abbandono di un immobile da parte del proprietario. Recentemente, una storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 23093 dell’11 agosto 2025) ha chiarito in modo definitivo il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla cosiddetta rinuncia abdicativa della proprietà immobiliare. Questo pronunciamento ha rilevanti effetti non solo sul diritto di proprietà, ma anche sulla responsabilità civile e sulle dinamiche condominiali.
La rinuncia abdicativa alla proprietà: un diritto confermato
Il tema se un proprietario possa liberamente rinunciare alla proprietà di un immobile, lasciando che questo venga acquisito dallo Stato, ha da sempre diviso la giurisprudenza. La Corte di Cassazione ha stabilito che la rinuncia è un atto unilaterale e non recettizio, dunque non necessita dell’accettazione di terzi per essere efficace. Si tratta di un esercizio legittimo del diritto di proprietà sancito dall’articolo 832 del codice civile, che consente al proprietario di dismettere il bene e tutte le relative obbligazioni.
La sentenza ha inoltre precisato che la rinuncia è valida anche se motivata da ragioni “egoistiche”, come la volontà di sottrarsi al pagamento di imposte (IMU, TARI) o di onerose spese condominiali. Non si configura, infatti, un abuso del diritto né una violazione della funzione sociale della proprietà, prevista dall’articolo 42 della Costituzione, salvo che non vi sia una specifica norma violata o un evidente intento illecito, come la frode ai creditori.
Quando il proprietario rinuncia formalmente all’immobile, che deve avvenire tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata con trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, la proprietà passa a titolo originario allo Stato, gestito dall’Agenzia del Demanio. Questo trasferimento comporta un cambiamento sostanziale nell’anagrafe condominiale, poiché lo Stato subentra come nuovo condomino.

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L’amministratore condominiale ha quindi l’obbligo di aggiornare il registro dei proprietari (art. 1130, n. 6 c.c.) e di inviare tutte le comunicazioni e convocazioni assembleari allo Stato. La mancata comunicazione di tale variazione può esporre il condominio al rischio di nullità delle delibere adottate in assenza del nuovo proprietario. Poiché il rinunciante non è incentivato ad informare il condominio, l’amministratore deve esercitare una diligenza accresciuta nel verificare periodicamente la titolarità degli immobili.
Un altro aspetto critico riguarda i debiti condominiali maturati prima della rinuncia. La Corte ha chiarito che, poiché lo Stato acquisisce la proprietà a titolo originario, esso non assume i debiti pregressi, che restano a carico esclusivo del proprietario rinunciante. Questo impone all’amministratore di agire separatamente per il recupero delle somme dovute, con tutte le difficoltà che derivano dall’insolvenza del rinunciante.
La sentenza affronta anche la responsabilità per danni causati dall’immobile abbandonato, in particolare ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile, che disciplina il danno cagionato da cose in custodia. La giurisprudenza più recente conferma che il custode del bene è responsabile in via oggettiva per gli eventuali danni a terzi, salvo che provi il caso fortuito, un evento imprevedibile e inevitabile.
Nel caso della rinuncia, il proprietario precedente rimane responsabile per i danni derivanti da situazioni di pericolo create prima della dismissione della proprietà. Lo Stato, invece, risponde solamente per danni causati da fenomeni verificatisi dopo l’acquisizione e dalla sua gestione. L’amministratore deve quindi individuare con precisione il momento in cui è sorto il danno per indirizzare correttamente le eventuali richieste di risarcimento.
Questa distinzione è fondamentale per evitare azioni legali inefficaci e per tutelare gli interessi del condominio, in un quadro normativo che impone una gestione più attenta e consapevole delle titolarità immobiliari.

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