Si può fare lo stesso lavoro percependo una paga diversa dal collega? La Cassazione risponde

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Questa pronuncia della sentenza n. 17008/2025, rappresenta un punto di riferimento per aziende, lavoratori e operatori del diritto.

La Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale in materia di diritto del lavoro, spiegando perché è possibile che due dipendenti con mansioni identiche percepiscano stipendi differenti. Questa pronuncia, contenuta nella sentenza n. 17008/2025, rappresenta un punto di riferimento per aziende, lavoratori e operatori del diritto, soprattutto alla luce delle recenti evoluzioni normative europee in tema di parità salariale e trasparenza retributiva.

La sentenza della Cassazione e il principio di libertà salariale

Nel caso esaminato, un lavoratore aveva impugnato il proprio inquadramento e la retribuzione, chiedendo il riconoscimento di un livello superiore rispetto a quello attribuitogli dall’azienda, lamentando un trattamento economico inferiore rispetto a colleghi che svolgevano mansioni analoghe. Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che la corte d’appello hanno respinto le sue richieste, evidenziando come il dipendente non avesse dimostrato né la corrispondenza delle mansioni svolte con quelle della qualifica superiore né una violazione del principio di corretto inquadramento previsto dall’art. 2103 del Codice civile.

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La Cassazione ha confermato che non esiste un diritto automatico a percepire lo stesso salario di un collega, anche se si svolgono le medesime mansioni. La differenza sostanziale va ricercata tra il concetto di mansione e quello di qualifica o inquadramento contrattuale, nonché nell’esperienza e nella professionalità maturata dal singolo lavoratore.

La sentenza sottolinea che il datore di lavoro ha la legittima facoltà di modulare la retribuzione nel contesto aziendale, a patto che sia rispettata la congruità del compenso e che non si verifichino discriminazioni vietate dalla legge. In definitiva, anche all’interno dello stesso reparto o ruolo possono coesistere stipendi differenti, purché giustificati da criteri oggettivi e non discriminatori.

Il lavoratore può contestare con successo la propria retribuzione solo se è in grado di provare che l’inquadramento attribuito non corrisponde alle mansioni effettivamente svolte, violando così il principio di corrispondenza tra mansioni e qualifica. Un altro terreno di contestazione è la presenza di discriminazioni vietate, come quelle basate su sesso, età, religione, opinioni politiche o appartenenza sindacale, regolamentate dal Codice delle pari opportunità e dal decreto legislativo n. 216/2003.

In questi casi, il lavoratore potrà agire in giudizio per ottenere il riconoscimento di una retribuzione adeguata e il risarcimento dei danni subiti. Tuttavia, l’onere della prova rimane a carico del dipendente, che deve dimostrare concretamente la disparità ingiustificata o la discriminazione.

Nel 2025 l’Italia ha recepito la direttiva europea 2023/970, che introduce importanti strumenti per la promozione della parità di retribuzione tra uomini e donne e per la trasparenza salariale nelle aziende. Tale normativa impone obblighi precisi agli datori di lavoro, tra cui:

  • L’obbligo di fornire informazioni dettagliate sulle retribuzioni fin dal momento dell’assunzione;
  • La possibilità per i dipendenti di accedere ai dati salariali medi per categoria e livello contrattuale;
  • L’introduzione di sanzioni e forme di risarcimento nel caso di discriminazioni salariali di genere.

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