Il giudice può guardare oltre le dichiarazioni fiscali: spese, investimenti e stile di vita rivelano la vera capacità economica.
Un’auto di lusso in garage, vacanze esotiche documentate sui social, ma un reddito dichiarato modesto. Succede spesso nelle cause di separazione, quando arriva il momento di stabilire l’assegno di mantenimento per i figli. A quel punto, i numeri sulla carta possono raccontare una storia molto diversa da quella che emerge osservando la vita reale del genitore obbligato.
Negli ultimi anni, la giurisprudenza italiana ha fatto un passo deciso in questa direzione: non è più solo la dichiarazione dei redditi a determinare la capacità economica, ma un insieme di indizi concreti che mostrano la reale disponibilità patrimoniale e finanziaria.
Il principio è semplice ma rivoluzionario. L’obiettivo non è punire chi guadagna di più, bensì tutelare il diritto dei figli a mantenere uno stile di vita coerente con quello dei genitori. E per farlo, il giudice può e deve guardare oltre i numeri ufficiali.
Oltre il reddito: il “vero” parametro di valutazione
La Corte di Cassazione lo ha chiarito più volte: le dichiarazioni fiscali servono al fisco, ma non vincolano il giudice civile. L’ordinanza n. 25558 del 18 settembre 2025 lo ribadisce con forza: il magistrato ha piena discrezionalità nel ricostruire la reale capacità economica del genitore, attingendo a tutte le fonti disponibili.
Questo significa che anche in presenza di redditi dichiarati bassi, il tribunale può stabilire un assegno più elevato se emergono elementi di spesa o di patrimonio incompatibili con quelle cifre. Auto di grossa cilindrata, investimenti immobiliari, viaggi costosi, partecipazioni societarie: tutto concorre a delineare un profilo economico più veritiero.
Perfino le fotografie sui social o la frequentazione di ambienti esclusivi possono diventare indizi rilevanti. Il messaggio della Cassazione è chiaro: il giudice non deve limitarsi ai bilanci, ma può leggere la realtà “tra le righe”, valutando concretamente il tenore di vita mantenuto dal genitore.

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Una delle situazioni più delicate riguarda gli imprenditori o i liberi professionisti. Spesso, per motivi contabili o fiscali, i bilanci aziendali mostrano utili ridotti o perfino in perdita. Ma dietro quei numeri si celano realtà ben più solide. La giurisprudenza ha sottolineato che scelte come reinvestire gli utili, acquistare nuovi macchinari o ampliare la sede aziendale sono segnali inequivocabili di forza economica, non di difficoltà.
In questi casi, il giudice può considerare gli investimenti come manifestazioni di ricchezza, e quindi come indicatori di una capacità economica superiore a quella formalmente dichiarata. Non è il reddito personale a contare, ma la solidità del patrimonio che il genitore controlla.
Questo approccio evita che scelte contabili o strategie fiscali legittime diventino un pretesto per ridurre l’importo del mantenimento. I figli, ricorda la Cassazione, hanno diritto a beneficiare delle effettive risorse dei genitori, non solo di quelle che appaiono nei documenti ufficiali.
La nuova linea interpretativa rappresenta un passo avanti verso una giustizia più aderente alla vita concreta. L’assegno di mantenimento non è più una questione di moduli e numeri, ma di realtà vissuta. Ciò che conta, in definitiva, è garantire ai figli un equilibrio proporzionato tra le possibilità dei genitori e le loro esigenze quotidiane.
E se il reddito non basta a raccontare la verità, allora è giusto che a parlare siano le scelte, le abitudini e gli investimenti. Perché la ricchezza, quella vera, raramente si nasconde a lungo.

Assegno di mantenimento, non conta solo il reddito: nuovo parametro in gioco - linkedincaffe.it






